La Fondazione è l’ultimo grande monologo teatrale di Lello in cui dialetto e italiano convivono felicemente. E’ la storia di un uomo qualunque e a suo modo “eroico” che cerca di imbrigliare la vita e la morte in un delirio apparentemente bislacco, ma profondissimo, un uomo che colleziona i più assurdi oggetti del passato, “tiene da conto tutto”, perfino le cartine che avvolgono le arance. “… perché io, insomma me a tengh dacount anche per gli altri, quant a vegh la roba ch’i botta via, chi la lasa alé, acsé, cmé gnent, me a la toi so…” “… amo, d’ogni tent a vagh a mareina, a guerd, a sbarloc, a dmand, insomma me u m pisarebb d’avei enca un muscoun… me al vrebb tnei alé, propi in tl’ort, perché a me mi piace il mare, la montagna è bella per carità, è bellissima, mo è lì, la sta ferma alé, la n s mov, e mèr invici u n sta mai bon, ta ne tin, a và, e và…” (tratto da LA FONDAZIONE ) Mie impressioni: Ritengo che “La fondazione” sia il monologo più profondo e allo stesso tempo comico, di Baldini. Dalla prima lettura del testo mi ha conquistato l’idea di dar voce a questo personaggio che tiene “da conto tutto”, non butta via niente e addirittura raccatta le cose che per gli altri non hanno nessuna importanza. Se le porta a casa, le mette nel giardino, perché non si sa mai che un giorno possano servire e gli ricordano qualcosa, gli fanno compagnia perché non sono cose nuove, hanno una vita, una loro storia da raccontare.